Intervento di Melania G. Mazzucco alla conferenza stampa di annuncio dei libri candidati

15 Aprile 2025

immagine per Melania G. Mazzucco Melania G. Mazzucco, credits: MUSA
in foto: Melania G. Mazzucco, credits: MUSA

Gli 81 titoli candidati all’edizione 2025 del Premio Strega rispecchiano nell’insieme una pluralità di generi e generazioni non di provenienza, a confermare la riluttanza, del resto analoga a quella sociale, con cui la nostra letteratura accoglie voci d’altra origine. Figurano solo due libri i cui autori non sono nati in Italia, 51 sono gli scrittori, 30 le scrittrici, il più giovane ha 21 anni, la maggioranza supera la quarantina. Tra le opere prime, salutiamo esordi assai felici e promettenti. Ogni gamma della prosa contemporanea è rappresentata: romanzo, memoir, narrativa non-fiction, graphic novel, romanzo biografico, giallo, noir, thriller, distopico; non c’è nessun fantasy. Tuttavia, i romanzi veri e propri non sono la maggioranza.

Predomina il racconto dell’Io, la cosiddetta autofiction o l’autobiografia vera e propria, sia di professionisti affermati in altri campi, come il tennis o il giornalismo, sia di protagonisti del mondo editoriale, che ricorre coi suoi fasti e le sue miserie in alcune opere spesso autocelebrative. Come in altre edizioni, è ben rappresentato il personaggio dello scrittore celebre realmente esistito, come Dino Campana, Elsa Morante, Raffaele La Capria, Daniele Del Giudice e Raffaello Baldini; oppure immaginario e, in questo caso, nevrotico, corroso dall’insuccesso, bloccato, oppure velleitario, incapace di scrivere il libro a cui aspira.

Il soggetto fagocita la narrazione che si incaglia o si dipana nella propria storia personale e familiare. Non diventa mai saga o epopea ma è, piuttosto, apprendistato alla vita, itinerario di formazione ed esplorazione domestica di un microcosmo quasi amniotico. L’autore si propone preferibilmente nella condizione di figlio o di nipote. Come nelle scorse edizioni, prevale ancora la ricerca del padre di sangue o di adozione o di elezione. Varie volte, questo padre è un imprenditore geniale, coraggioso, condannato però al fallimento e alla rovina, come a rispecchiare la crisi industriale contemporanea. La condizione di figlio si affianca a quella di neogenitore: giovane padre impreparato, madre attempata schiacciata dal peso sociale della maternità. Per la prima volta concorre, poi, un memoir saffico. Se l’autore o l’autrice rivendica l’appartenenza a una minoranza oppressa o perseguitata, come nel caso degli ebrei e degli africani, il realismo agrodolce si contamina con la magia, il fantastico, i fantasmi.

In generale, le famiglie tradizionali sono soffocanti e avvelenate da segreti, con genitori inadeguati, quando non nocivi o deleteri. Per le generazioni più giovani, come in una prolungata adolescenza, solo la lontananza fisica e geografica consente salvezza e libertà. A fronte di questa ipertrofia dell’Io non si può non rilevare la crisi della storia. Pochi, infatti, i romanzi del passato: la storia antica, babilonese, barocca, la conquista delle Americhe, il Rinascimento, il XIII secolo, il nazismo. Fra questi colpisce la crescita di un genere che è andato affermandosi nell’ultimo lustro: la narrativa partigiana. Ormai, si delineano strutture ricorrenti: il tono carico, i protagonisti, maschere fisse, come in un nuovo teatro all’italiana – la partigiana e il fascista. Abbiamo privilegiato chi in questa narrazione, che va assumendo le caratteristiche e i limiti della letteratura di genere, scansa gli stereotipi e sceglie angolazioni inedite.

Non mancano poi narrazioni sui cosiddetti anni di piombo, l’eredità del terrorismo, e anche crime story o true story ispirati a fatti di cronaca nera, capaci di illuminare il passato prossimo, come nel caso della Contessa Vacca Agusta sui beati anni ’80, e gli anni di Mani Pulite; e anche la cronaca vera e propria, come la tragedia di Gaza. Lo scenario della narrazione resta prevalentemente italiano, soprattutto le grandi città: Roma, Torino, Milano, Palermo, Venezia, Trieste, Bari e le Puglie e Napoli, con i suoi misteri, i suoi morti. Sono rappresentate anche la provincia con Ferrara, la Toscana, le Puglie e le isole ma molto più la Sicilia della Sardegna. La narrativa meridionale, che spesso ripropone gli ingredienti classici del genere, talvolta azzarda delle contaminazioni inedite. Lisbona è la capitale straniera più frequentata, ma appaiono anche Londra, l’Argentina, Pechino e le Orcadi e torna poi l’ex Africa italiana, con la Libia, l’Etiopia e Mogadiscio «la bianca».

Il leitmotiv di quest’anno è la follia, sbriciolamento dell’Io, depressione, crollo psichico, suicidio, manicomio, ospedale, clinica, reparto psichiatrico, camicia di forza, farmaci, droghe, erbe, la repressione e la reclusione anteriforma Basaglia, le cure alternative poi. Follia demitizzata ma non negata, come nel racconto degli ultimi anni del poeta Campana, zittito dai suoi demoni, o dei vaneggiamenti del medico Palasciano, che la follia costringe a confrontarsi col fallimento e la disillusione, anche politica. Follia mistica dell’ultimo messia che si reincarna nella Germania di fine ‘800; follia vergognosa delle donne del XX secolo, occultate e recluse per essere riparate; follia diffusa del XXI, mondo in cui tutti prendono psicofarmaci e le anime infrante vengono rabberciate, ma nessuno guarisce davvero. Nel 2025 la salute mentale è un’emergenza sociale ma anche letteraria.

Poche le allusioni alla pandemia, poco presente il mondo dei social, solo piuttosto come piattaforme di appuntamenti erotici, mentre sono più abbondanti del solito le scene di sesso (questo è un ritorno, negli ultimi anni ne avevamo lamentato la scomparsa). Molti libri ragionano appassionatamente sulla letteratura e l’amore per essa, ma anche sulla matematica.

Infine, qualche parola sulla lingua. Nella maggior parte dei libri – sto parlando degli 81 che si sono presentati – si tratta di un italiano funzionale, una lingua media a volte parlata o televisiva, dialoghi, frasi brevi o una grande iterazione del relativo. Abbiamo, invece, valorizzato i testi di maggior ricerca e consapevolezza linguistica. Un’osservazione infine sul dialetto che, di solito, è impiegato nella narrativa di consumo come un vezzo di colore, quasi un arredo di scena: nei romanzi di ambientazione contemporanea, invece, diventa una scelta voluta di personaggi italofoni, il ricordo – anche polemico o comico – delle radici nella piccola patria che, però, è ormai aperta al mondo globale.

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