5 Febbraio 2020

Anna Vivarelli. Interviste agli autori

Ti ricordi qual è stato il primo libro che hai letto?
Non so sia stato davvero il primo, ma sicuramente è uno dei primi: Violetta la timida, di Giana Anguissola. Una storia divertente, che parlava di quotidianità. Era il primo romanzo che ho letto scritto da un’autrice vivente, e dunque senza crinoline né carrozze e soprattutto con una scrittura contemporanea, con una protagonista che aveva la mia età e in cui potevo riconoscermi. Me lo regalò mio padre, e lo possiedo ancora, con la sua dedica.

Perché e quando hai deciso di scrivere un libro per ragazzi?
Il mio primo libro per ragazzi risale al 1994: un romanzo a quattro mani per Einaudi Ragazzi dal titolo Uomo nero, verde, blu, poi ripubblicato da Interlinea. Un’avventura in cui mi ha trascinata Guido Quarzo e che pensavo fosse soltanto una breve fase della mia vita professionale. Scrivevo già, soprattutto teatro per gli adulti, e anzi, vivevo di scrittura (quella pubblicitaria), ma il mondo della letteratura per ragazzi non lo frequentavo se non in modo casuale. Ho scoperto subito che si trattava invece di un universo in cui mi sentivo a mio agio, e non ne sono più uscita.

Ci sono degli autori o un autore in particolare che hanno influenzato il tuo lavoro di scrittore?
Credo che mi abbia influenzato ogni libro che ho letto, perfino quelli che non mi sono piaciuti, ma ovviamente non leggo per questo motivo: leggo perché non potrei farne a meno, perché anche se scrivo da quando ero ragazza, leggo da ancora prima, e la lettura mi appaga totalmente. Cerco di leggere libri che non sarei in grado di scrivere, libri inarrivabili per me come autrice ma non come lettrice. I miei gusti sono cambiati, nel tempo. E dunque è cambiato anche il mio modo di scrivere e di affrontare le storie.

Raccontaci in breve una giornata tipo di quando scrivi.
Non sono tipo da grandi illuminazioni, ma sono abitudinaria, diligente fino alla pignoleria. Dunque passo molto tempo davanti alla tastiera, cercando di limitare al minimo le interruzioni. Non sempre le ore sono produttive: spesso riesco solo a cancellare o a correggere, ma la scrittura è anche questo. A volte, anzi, penso sia soprattutto questo.

Cosa ti piacerebbe che pensassero i lettori una volta terminato il tuo libro?
Mi piacerebbe che i miei lettori provassero un piccolo rimpianto per la storia che è appena finita, e il desiderio di iniziarne un’altra. Non credo alla letteratura come strumento di un’idea, di un messaggio, di una visione del mondo, ma credo alle storie come aperture a mondi, relazioni, persone diversi da quelli che viviamo ogni giorno. Se la storia funziona, uscirne crea rimpianto.

Che cosa consiglieresti a un tuo lettore che volesse scrivere un libro?
Di leggere molto, senza finalizzare la lettura alla creazione di un proprio stile, ma assaporandola con curiosità, godendo della buona scrittura, scegliendo autori che usano stili e generi diversi. Gli consiglierei anche di non cedere alle mode letterarie, e di non essere pigro: la prima stesura di una pagina non può essere l’ultima.

 

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