28 Gennaio 2020

Daniela Carucci. Interviste agli autori

Ti ricordi qual è stato il primo libro che hai letto?
C’è stato un lungo periodo in cui ho letto e riletto un grande libro di fiabe illustrate: la mia preferita era Riccioli d’oro. Mi ricordo le sensazioni che mi dava leggere quella storia, vedere la bambina aggirarsi da sola intorno alla casa degli orsi in mezzo al bosco, e la sua decisione di entrare. La casa vuota con tutto al suo posto: i lettini, le sedie, i piatti caldi, e lei che prova tutto quello che trova e, a volte, lo rompe. Avevo paura che qualcuno la scoprisse, che arrivassero gli orsi da un momento all’altro e la sbranassero, ma nello stesso tempo come Riccioli d’oro volevo provare anch’io a entrare nella loro vita, usare le loro cose, stare in quella casetta così confortevole e calda. E, poi, ricordo quando sono arrivati gli orsi, e l’hanno cacciata via, mi sembrava così ingiusto, ne soffrivo ogni volta. Altri libri che ho molto amato sono stati i volumi dell’Enciclopedia Natura viva su cui mi allenavo a disegnare e studiare “il dentro” degli animali: i polmoni, l’intestino, il cuore… Volevo diventare veterinaria e disegnavo soprattutto galline.

Perché e quando hai deciso di scrivere un libro per ragazzi?
Per molto tempo mi sono dedicata al teatro per ragazzi, e con i ragazzi, facendo laboratori, spettacoli, incontri e ho scritto storie da portare in scena, poi sono uscita dalla compagnia per cui lavoravo. Le storie, però, mi circolano intorno, mi chiamano, mi strattonano per la strada, a volte mi fanno pure lo sgambetto, insomma, vogliono che mi occupi di loro ed è quello che sto facendo. Scrivere storie è per me un impegno importante, ogni volta posso guardare il mondo con occhi diversi e scoprire altri modi di vivere e di sentire, continuare a esplorare la vita.

Ci sono degli autori o un autore in particolare che hanno influenzato il tuo lavoro di scrittore?
Considero mio parente Italo Calvino, mi è sempre piaciuto molto il suo modo di raccontare, il suo immaginario fantastico, la leggerezza, le profondità. Poi, è successo che ho lavorato su uno spettacolo sulla sua infanzia e sul romanzo Il Barone rampante e sono finita a cercare la sua storia a Sanremo, il luogo dove ha vissuto da bambino e da ragazzo, poco lontano da casa mia. Negli archivi della biblioteca di Sanremo ci sono tante foto: lui da piccolo con Pinocchio tra le braccia, lui con sua mamma, suo papà, suo fratello, lui sorridente accanto a una pecora, lui che gioca in giardino, lui sotto la neve… È stato come guardare l’album fotografico di uno di famiglia. E, poi, ci sono i suoi romanzi e i saggi, ma anche il suo lavoro sulle fiabe che leggo e rileggo. Ma ci sono molti altri scrittori e scrittrici che viaggiano tra le mie parole scoperti tanto tempo fa o di recente: Luigi Pirandello, il cui romanzo Uno, nessuno, centomila diventò un costume di carnevale con cui vinsi il primo premio alla festa della scuola, Gianni Rodari, Bernard Friot, Siobhan Dowd, Shaun Tan… In questi giorni sto leggendo On writing di Stephen King, un libro in cui racconta la sua scrittura e dà consigli con uno stile ironico, audace e onesto. E, poi, ci sono tanti autori di teatro che ho dentro la memoria, guide immaginarie: circensi, sperimentatori, narratori, funamboli, e c’è il cinema di Moretti, Fellini, Miyazaki, Burton, Van Dormael e di tanti altri.

Raccontaci in breve una giornata tipo di quando scrivi.
Non scrivo tutti i giorni con gli stessi tempi, modi o negli stessi posti. A volte scrivo alla mattina, a volte la sera. Scrivo in biblioteca, nello studio di casa, sulle panchine, in treno, al bar. Sono una scrittrice a zig zag. Ci sono dei giorni però che fuggo via da tutto e da tutti, vado in una casa antica in mezzo al bosco e lì sto dentro la scrittura tutto il giorno, anche quando non scrivo la storia va avanti nella mia immaginazione, non penso ad altro. Mi sveglio la mattina, sento i piedi che fanno scricchiolare le travi di legno del pavimento, guardo gli alberi e il cielo di fuori, faccio una colazione buonissima, vado a trovare un grande faggio centenario, torno a casa e scrivo, scrivo… Poi, cammino di nuovo, vado in paese, prendo il caffè, parlo con le persone fino a che non torno a scrivere fino a sera. In quei momenti magici in cui ci siamo solo io e le storie che stanno nascendo, le situazioni e i personaggi mettono su lo scheletro, e muovono i primi passi. Quando ritorno a casa costruisco il resto di nuovo a zig zag, fino a quando, non fuggo un’altra volta.

Cosa ti piacerebbe che pensassero i lettori una volta terminato il tuo libro?
Qualche mese fa ho letto e raccontato la storia di un capitano di mare vissuto alla fine dell’Ottocento a Genova: il Capitano d’Albertis. Era un signore esploratore, curioso, un po’ matto, coraggioso e stravagante che viaggiava in tutto il mondo: addomesticava tigri, nuotava tra le balene, incontrava principi e principesse di paesi lontanissimi. Alla fine del racconto un bambino è venuto da me e con la voce esitante di chi è emozionato mi ha ringraziato di avergli fatto conoscere quel signore e quella storia, perché se era esistito un tipo così anche lui poteva essere coraggioso e fare quelle avventure, anche lui poteva essere forte e un po’ matto, girare il mondo e inventare strumenti per navigare e progettare castelli. Vorrei che i miei lettori pensassero “anch’io”: anch’io posso lottare contro le ingiustizie, anch’io posso avere amici grandi come leoni, anch’io posso volare, anch’io posso scrivere una storia.

Che cosa consiglieresti a un tuo lettore che volesse scrivere un libro?
Prendere un foglio che gli piace, grande o piccolo, del suo colore preferito, scegliere un posto bello, un rifugio segreto, e stare un po’ lì da solo con una storia da inventare, prendersi il tempo per farla arrivare, per scriverla o disegnarla, e prendere spunto da quello che ha intorno, tutto può trasformarsi in un’avventura. E, poi, leggere altre storie e imparare le regole della grammatica, le parole, ma nello stesso tempo vorrei dire a chiunque voglia scrivere una storia che ci sono migliaia di modi diversi di raccontare, non ce n’è uno giusto e uno sbagliato. Sentitevi liberi, libere.

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