Autore:
Jonida Prifti
Titolo: Sorelle di confine
Editore: Marco Saya
In questa nuova raccolta di Jonida Prifti, le sorelle di confine del titolo non sembrano essere soltanto quelle figure indissolubilmente legate alla vita intima dell’autrice e dunque alla propria personale vicenda esistenziale, ma sono anche quelle, più apparentemente impersonali, geometrie dell’ascolto che nella poesia trovano il proprio apice e vanno oltre il mero confinamento della geografia macro-testuale a favore di un più tellurico e greve «svisamento» metrico/musicale. Si assiste qui dunque a un conflitto tra significanti, sorgivi e martellanti al tempo stesso, e sonorità che deflagrano; spostamenti sensoriali che tra lo scorrere delle pagine fanno immaginare a un deragliamento dei sensi più che a un loro cercare una più sicura e canonica compattezza dall’andamento puramente verticale. E se questi continui rimpalli tra vortice e vortice possono catturare nel gorgo il lettore, ciò che sorprende è la fluidità, che qui la Prifti crea, tra un plurilinguismo, che mostra la sua più autentica origine, e la marginalità di una composizione che già di per sé nasce per essere florilegio, sempre in bilico tra stasi emozionale e una più oggettivante messa in scena di partiture, tanto meccaniche quanto volutamente dissonanti.
Non è questo il primo libro di carta di un’autrice che deve la sua notorietà – underground e sottotraccia, ci mancherebbe, ma abbastanza diffusa ormai – piuttosto al versante performativo: fra musica, spoken word, poesia sonora e declamazione più tradizionalmente “lirica”. Eppure, «Sorelle di confine» si legge alla stregua di un esordio, nello sforzo di definire il più possibile una “posizione” destinata però a restare, e per fortuna, scissa e polimorfa: proprio come la biografia di chi esordisca alla scrittura in una terra e in una lingua diverse da quelle in cui è cresciuta (l’«atavismo riconquistato» – per dirla con Celan – dell’albanese si produce, così, solo a chiazze e con funzione, di nuovo, più “musicale” che narrativo-esperienziale). Decisivo è l’aggettivo che intitola il poemetto-guida Le portatrici carniche (dedicato a una vicenda toccante della memoria “di confine” di più d’un secolo fa). Al di là del toponimo, è nell’incarnazione del verbo e del mèlos che si definisce la promessa – ormai certa – d’una scrittura sfrontata e ribelle, laceratamente epica come non può non essere l’epos nel nostro tempo.
(Il Comitato Scientifico)









